Ecco la prima parte di uno dei racconti che ho scritto. E' nato dopo il mio viaggio in Bosnia, in cui ho conosciuto la realtà terribile della guerra e del dopoguerra, realtà che Sofi ha visto e vissuto, viaggiando verso quella libertà che chissà se arriverà.
"Sofi era entrata nella stalla.
Fuori un cielo grigio piangeva tutte le sue lacrime, scagliava i suoi fulmini.
Talvolta il bosco era illuminato da un lampo, ora vicino, ora lontano.
Erano tre giorni ormai che era
scappata da casa. Le forze bosniache erano entrate nel villaggio, avevano
distrutto ogni cosa, avevano ucciso sotto i suoi occhi centinaia di persone.
Anche la sua famiglia era stata sterminata, nonno Nemanian, nonna Nada, papà,
mamma…; lei si era salvata perché la nonna, come se sentisse qualcosa,
nonostante la faccia contraria del capofamiglia, l’aveva mandata nella stalla
nel bosco a dar da mangiare a Beo, l’agnellino nato da poco. E proprio lì Sofi
aveva visto tutto, ma soprattutto aveva sentito. Sentito gli spari, le urla e
poi il quasi doloroso silenzio. Anche gli animali sembravano aver capito e si
erano zittiti. L’agnellino le venne vicino, il suo pelo raccolse le lacrime che
calde, scendevano dagli occhi di Sofi. Non aveva il coraggio di tornare verso
casa. E se erano ancora là? Le domande che più le premevano in testa, che
pulsavano come una ferita infetta, rimbombavano dentro di lei: “Chi erano?
Perché?”
Fino ad allora nessuno le aveva
parlato della guerra. Era vissuta in una bolla, lontana dalla realtà, in un
mondo che i suoi genitori avevano costruito e dipinto con colori felici,
allegri, volontariamente lontani dalla realtà, solo per lei, per farla vivere
lontana dagli orrori della guerra.
Quando se ne erano andati da
Tuzla per raggiungere i nonni in campagna, le avevano detto che nonna Nada non
era stata molto bene e il nonno non poteva gestire casa e orto da solo. La
verità però era un’altra: a Tuzla stava arrivando la guerra. Poco prima della
loro partenza alcuni giovani avevano sparato a una casa, quasi alla fine del
paese, sulla strada che portava in aperta campagna. Erano dovuti passare di là
e Sofi aveva messo le sue piccole dita di bimba dentro ai fori dei proiettili,
chiedendo al papà cosa fossero. L’uomo, con le lacrime agli occhi, le rispose
che probabilmente stavano mettendo un’insegna o dei tubi. Sofi si era
accontentata di quella risposta, ma in quel momento, camminando per le vie del
paese che l’aveva accolta, capì che quella risposta datale dal padre qualche
mese prima non era la verità.
Raggiunse la casa dei nonni o
meglio quello che ne era rimasto. Come il giorno della partenza mise le dita
dentro ai fori, con la consapevolezza dolorosa che erano le tracce indelebili
di un massacro. Con le mani tremanti si aprì un varco per entrare in casa."
MU
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